La velocista Mujinga Kambundji ha chiesto all’IPI di iscrivere il suo nome nel registro dei marchi. Non è certo l’unica: molti sportivi professionisti lo hanno fatto prima di lei. Con quale obiettivo? Anche il signor Rossi potrebbe far registrare il proprio nome come marchio?
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Nella sua carriera sportiva Mujinga Kambundji ha già superato molti ostacoli. Il 3 ottobre 2022 ne ha superato un altro, questa volta fuori dal tartan: l’IPI ha accolto la sua domanda di registrazione di un marchio. «In qualità di sportiva d’élite sono ben consapevole di quanto sia importante registrare un marchio. I miei sponsor e gli organizzatori di grandi eventi sportivi sono marchi forti registrati», spiega Mujinga Kambundji. L’atleta ha affidato la registrazione del suo marchio a un avvocato.
L’atleta bernese non è l’unica sportiva professionista ad aver compiuto questo passo. Sono molti gli sportivi che proteggono nome e logo. Lo sciatore Ramon Zenhäusern, per esempio, ha fatto iscrivere tre marchi. Tra le registrazioni più prestigiose figura senz’altro quella del campionissimo Roger Federer, che lo scorso autunno ha annunciato il proprio ritiro dalle competizioni, mentre qualche tempo fa i media hanno dato ampio risalto alla domanda di Granit Xhaka.
Valore aggiunto e altri vantaggi
Registrandolo come marchio, gli sportivi proteggono il loro nome perché ritengono che possa diventare un capitale molto prezioso. Se i successi conseguiti alimentano la fama di un atleta, il marchio può trasformarsi in una fonte di reddito importante nel dopo carriera.
Il marchio registrato presenta anche vantaggi giuridici per gli sportivi attivi a livello internazionale. In virtù del Codice civile, in Svizzera ogni persona ha dei diritti in relazione al nome. All’estero questa protezione è però spesso meno estesa, per cui gli atleti professionisti svizzeri che fanno valere soltanto il diritto al nome si ritrovano con il fianco scoperto. «In questi casi è sensato tutelare il nome con un marchio. Ciò ne facilita notevolmente lo sfruttamento commerciale e si rivela molto utile quando si tratta di difendere i propri diritti», dichiara l’avvocato esperto in marchi Bernard Volken dell’agenzia Troller Hitz Troller.
La protezione del marchio consente per esempio di agire contro una persona che si fregia del nome di Roger Federer. Anche nel caso di Mujinga Kambundji, i diritti che detiene sul suo marchio «completano adeguatamente» i diritti che ha sul suo nome.
Carte migliori nella contrattazione di licenze
Secondo Bernard Volken, la registrazione può inoltre facilitare la contrattazione delle licenze, perché dà una certa sicurezza. Chi paga una tassa di licenza per l’uso di un nome vuole avere la certezza che quest’ultimo sia sufficientemente protetto e che sia garantita una certa esclusività. «Un marchio protetto soddisfa questi requisiti, visto che non può essere utilizzato da chiunque. Chi investe si aspetta a ragione un return on investment», conclude Volken.
Effetto preventivo
«In casi molto urgenti i giudici concedono più facilmente provvedimenti cautelari se viene documentata l’iscrizione nel registro dei marchi», afferma per esperienza l’avvocato.
Il marchio registrato ha anche un effetto preventivo, poiché appare nelle ricerche sui marchi. Inoltre facilita l’accesso a nomi di dominio. Secondo Bernard Volken, senza registrazione alcuni grandi marchi sportivi come «Kjus» o «Scott» non avrebbero ottenuto lo stesso successo, nonostante i loro fondatori abbiano diritti sui nomi.
Meno è meglio
Quando presentano la domanda, i richiedenti devono determinare in quale classe vogliono offrire i propri prodotti o servizi. In teoria possono selezionare tutte le classi, come è successo nel caso del calciatore Granit Xhaka, ma ha senso? «L’atleta deve chiedersi cosa farà tra cinque anni e in quale ambito potrebbe concedere una licenza. Scegliere un numero spropositato di classi a titolo preventivo potrebbe non rivelarsi una strategia vincente, dato che entro cinque anni dal deposito della domanda il marchio deve essere utilizzato nelle classi definite», spiega Bernard Volken. Se un campo di protezione troppo limitato può ostacolare la differenziazione, un campo di protezione troppo ampio rende inutilmente vulnerabile il marchio e l’atleta. La soluzione risiede in una strategia di marchio ad hoc.
Uno sportivo dovrebbe valutare con sufficiente anticipo la possibilità di tutelarsi con un marchio. «In questo modo minimizza il rischio che terzi si assicurino i diritti di marchio per ricavarne un profitto», spiega Bernard Volken. La volontà di investimento e le somme investite vanno di pari passo con il grado di notorietà del marchio. Secondo l’avvocato, lo sport d’élite non esisterebbe senza la protezione dei marchi.
Chi vuole presentare una domanda per registrare il proprio nome come marchio può farlo anche se non ha alle spalle una carriera sportiva. Bernard Volken però è scettico: «Visto che generalmente i privati non sfruttano commercialmente il proprio nome né concedono licenze per il suo uso, una registrazione non ha molto senso».
Ogni PMI dovrebbe disporre di una persona responsabile della protezione del marchio.
Quando riceve una domanda, l’IPI non controlla se un marchio identico o simile è già stato depositato o registrato.
Prima del deposito della domanda è quindi opportuno effettuare una ricerca. Spetta al titolare fare valere i propri diritti.
Chi deposita un marchio deve assegnarlo a una classe di prodotti e servizi. Occorre quindi riflettere bene sull’uso che si intende farne.
Una volta presentata la domanda di registrazione, il marchio gode di una protezione provvisoria fino alla registrazione definitiva.
Spetta al titolare difendere il marchio protetto.
Depositare un marchio «preventivamente» non vale la pena: il marchio deve essere utilizzato.
Per fare valere i diritti nei confronti di terzi occorre aspettare la registrazione. Per determinare chi detiene il diritto anteriore è tuttavia decisiva la data del deposito.